Stop alle pensioni basse? Forse: la ‘Sentenza ENPAIA’.

Quasi due anni fa scrivevo questo articolo sul blog di Altrapsicologia: ‘La mia pensione ENPAP? 40,88 Euro lordi al mese’. Parlava di un problema cronico che affligge i professionisti: l’INADEGUATEZZA DELLE PENSIONI. Oggi una sentenza del Consiglio di Stato pare cambiare drasticamente le cose.

Il problema delle pensioni basse nasce da un sistema SEMPLICE e SPIETATO: tutto quello che ho versato all’ente di previdenza (ENPAP per gli psicologi), addizionato di un certo rendimento, alla fine mi viene restituito a rate ‘spalmandolo’ sugli anni della mia aspettativa di vita. Si chiama sistema contributivo.

Un ruolo centrale lo gioca il rendimento, o rivalutazione, del capitale versato alla cassa:

Versando 1000 euro all’anno per 35 anni (quindi 35.000 euro in tutto),
al 2% di rendimento diventano 51.994 Euro
al 5% di rendimento annuo diventano 95.836 Euro

L’effetto del rendimento sulla pensione finale è risaputo, ma oggi inutilizzabile dalle casse di previdenza. La normativa italiana impone che ai versamenti degli iscritti sia dato un rendimento fisso, calcolato sulle variazioni del PIL. Per chi volesse, a fondo articolo ci sono le due norme incriminate.

Questa è la potenza o la miseria delle nostre pensioni: in base alle fluttuazioni del PIL, quello che versiamo può restare uguale, raddoppiarsi o triplicarsi.

Oggi il PIL italiano non gode di buona salute: siamo passati dal 5,1% dell’anno 2000 allo 0,16% del 2013. Mi pare il caso di dire: ‘Houston, abbiamo un problema!’.

LIBERI DALLA ZAVORRA DEL PIL?

C’è più di un motivo per agganciare i rendimenti dei contributi al PIL:

  1. Garantire che, qualunque cosa accada, ci sia un rendimento minimo garantito.
  2. Garantire che i capitali su cui maturano le future pensioni seguano l’economia reale del paese.
  3. Garantire che nei momenti di performance elevate delle gestioni, gli extra-rendimenti vadano ad alimentare un fondo di riserva per coprire i momenti di minore performance e coprire rischi come l’inflazione, la sopravvivenza superiore alle previsioni, le perdite impreviste.
  4. Evitare di innescare pericolose corse al rendimento elevato, attraverso una condotta finanziaria speculativa e rischiosa.

E c’è più di un motivo per sganciare i rendimenti dal PIL:

  1. Disporre di un grado di libertà in più per agire sull’adeguatezza finale delle pensioni: come abbiamo visto prima, il rendimento è una delle leve più efficaci per moltiplicare i versamenti.
  2. Assorbire gli effetti dei periodi di crisi economica strutturale del paese, impedendo che un calo pluriennale del PIL rechi un danno permanente e di lungo periodo sulle pensioni.

Ne avevo già parlato in questi articoli: LA ZAVORRA DELLA RAGION DI STATO e in TRE SEMPLICI CORRETTIVI PER AUMENTARE LE PENSIONI.

LA SENTENZA RIVOLUZIONARIA

Oggi una storica sentenza del Consiglio di Stato (SENTENZA ENPAIA), arrivata dopo qualche anno di lavoro in sordina di una piccola cassa, l’ENPAIA, sembra andare nella direzione giusta. Ne avevo parlato agli albori di questo blog, ed ero molto dubbioso: GLI AGROTECNICI AUMENTANO IL RENDIMENTO. SARA’ VERO?

Oggi debbo ricredermi: gli agrotecnici sono andati avanti con tenacia. Hanno approvato una delibera – di cui è difficile trovare il testo originale, per cui debbo basarmi sugli stralci presenti in sentenza – che intendeva attribuire al montante degli iscritti per il 2011 una rivalutazione aggiuntiva del 50% del tasso imposto dalla legge. I Ministeri Vigilanti l’hanno rifiutata. ENPAIA ha mosso ricorso al TAR. Il TAR ha dato ragione ai Ministeri. ENPAIA si è appellata al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. E qui è avvenuto il miracolo inaspettato: il Consiglio di Stato ha affermato che ENPAIA può decidere di usare parte dell’utile di gestione per metterlo sui montanti.

C’è da dire che la delibera EMPAIA pare avere due limiti, per quanto sia difficile valutarla bene basandosi sugli stralci presenti in sentenza:

  • Non sgancia i rendimenti dal PIL: basandosi su una norma di regolamento pre-esistente, aggiunge ai montanti un ulteriore 50% del rendimento di legge, e quindi ancora una volta c’è di mezzo il PIL.
  • Agisce sul consuntivo 2011: e per quell’anno PRIMA mette correttamente a riserva gli extrarendimenti, e POI ne sposta una parte sui montanti, in misura del 50% di quanto già attribuito come rivalutazione. Se fosse stata applicata per il 2013, aumenterebbe il rendimento da 0,16% a 0,24%, praticamente ininfluente.

Ma la sentenza del Consiglio di Stato va ben oltre la delibera ENPAIA: afferma un principio. Dice che gli utili di gestione finanziaria possono essere usati per aumentare i montanti, cioè i conti personali degli iscritti. E interpreta la norma forzando parecchio il suo tenore letterale, che è questo:

la contribuzione (…) si rivaluta (…) al tasso di capitalizzazione. [art. 1 comma 8 L.335/95]

E ADESSO? AZIONI, TEMPI, CONTRATTEMPI.

La sentenza del Consiglio di Stato sarà un grimaldello per le casse dei professionisti. Ciascuna per sé, proveranno ad usarlo per delibere di modifica dei propri regolamenti e statuti. Qualcuna ci ha già provato: quella dei Biologi aveva fatto notizia (QUESTO L’ARTICOLO) per la provocazione di attribuire 3000 euro su ogni posizione, attingendoli dal fondo di riserva. Non so a che punto siano ma penso sia un provvedimento con molti punti deboli in termini di equità: mettere 3000 euro su due posizioni previdenziali diverse non produce gli stesso effetti. Conosco poi direttamente il lavoro di altre casse, e mentre scrivo stanno attivando o hanno attivato iniziative di forzatura della norma molto simili a quella di ENPAIA.

Passeranno mesi, prima di vedere qualche effetto concreto. Una sentenza del Consiglio di Stato non è fonte di diritto, ma è un appoggio importante per farsi approvare delibere simili a quella ENPAIA, volte ad usare in qualche modo gli utili per aumentare i montanti e quindi le pensioni.

Non mi illudo: ci saranno vari contrattempi. Non credo che i Ministeri Vigilanti potranno accogliere con favore le azioni delle casse, e la sentenza del Consiglio di Stato avrà il suo peso ma non sarà certamente l’elemento decisivo per cambiare per sempre il destino della previdenza dei professionisti aggirando l’azione legislativa. Mi aspetto piuttosto un fiorire di iniziative, di ostacoli, di provvedimenti di rigetto.

Stranezze, se mi metto gli occhiali dell’iscritto comune, che chiede soltanto di non versare invano, di veder valorizzati i propri risparmi in una pensione dignitosa.

PRO E CONTRO (della liberalizzazione delle rivalutazioni).

Pro: l’aumento delle pensioni, argomento principe. Un vero salto di paradigma, ovviamente se tutto va bene.

Pro: un fattore di rischio in meno sull’investimento di lungo periodo rappresentato dai versamenti pensionistici, perché non si resta appesi alla zavorra del PIL italiano.

Contro: il cambio di paradigma potrebbe tranquillamente innescare una sorta di ‘corsa ai rendimenti’ nelle casse: un fattore di rischio in più per il capitale versato dagli iscritti.

Contro: la tentazione di ridurre il più possibile le riserve per aumentare i montanti è dietro l’angolo. Quelli delle casse di previdenza sono equilibri delicati, che si contano in milioni di euro. Risparmiare sulla cancelleria, sul personale o sugli organi statutari serve a poco, quando devi coprire qualche milione di euro di perdite finanziarie o di singolarità demografiche: in quei casi conta solo la riserva che hai messo da parte.

RIFERIMENTO NORMATIVO

Per chi volesse, questi due commi dell’articolo 1 della Legge 335/95 sono quelli ‘incriminati’:

8. Ai fini della determinazione del montante contributivo individuale si applica alla base imponibile l’aliquota di computo nei casi che danno luogo a versamenti, ad accrediti o ad obblighi contributivi e la contribuzione cosi ottenuta si rivaluta su base composta al 31 dicembre di ciascun anno, con esclusione della contribuzione dello stesso anno, al tasso di capitalizzazione.

9. Il tasso annuo di capitalizzazione è dato dalla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (PIL) nominale, appositamente calcolata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), con riferimento al quinquennio precedente l’anno da rivalutare. In occasione di eventuali revisioni della serie storica del PIL operate dall’ISTAT i tassi di variazione da considerare ai soli fini del calcolo del montante contributivo sono quelli relativi alla serie preesistente anche per l’anno in cui si verifica la revisione e quelli relativi alla nuova serie per gli anni successivi.