EQUILIBRIO DI GENERE IN ENPAP: ULTERIORI RIFLESSIONI

EQUILIBRIO DI GENERE IN ENPAP: ULTERIORI RIFLESSIONI

Il tema dell’equilibrio numerico di genere negli organi di vertice delle grandi organizzazioni è di attualità.

La questione nodale è che il genere femminile negli organi di vertice è nettamente sotto rappresentato.

Alla base di questo fenomeno c’è una questione culturale e sociale, giacché è del tutto irrealistico ipotizzare un tema di gap di competenze delle donne rispetto agli uomini, anche solo per mere ragioni statistiche.

Dato che la questione è essenzialmente culturale, e che tende a non correggersi spontaneamente, in molti settori sono stati adottati meccanismi prescrittivi per mantenere un livello minimo di rappresentanza numerica di genere.

REGOLAMENTAZIONE EUROPEA E ITALIANA

A livello europeo:

  • Direttiva UE n. 878/2019 che in più punti pone l’accento sulla parità di genere nelle politiche retributive delle società
  • Orientamento del consiglio europeo dell’aprile 2022, che apre la strada verso una futura direttiva europea che stabilisca una quota del 33% di consiglieri di amministrazione del genere meno rappresentato e/o del 40% per i consiglieri di amministrazione senza ruoli esecutivi.
  • La MIFID prescrive una adeguata differenziazione per genere ma anche per età, provenienza geografica, percorso formativo e culturale.

A livello italiano:

  • Circolare 285/2013 della Banca d’Italia in un aggiornamento recente ha introdotto al Titolo IV capitolo 1 sezione IV articolo 2.1 lettera b una prescrizione per gli istituti bancari quotati: “La composizione degli organi deve riflettere un adeguato grado di diversificazione in termini, tra l’altro, di competenze, esperienze, età, genere, proiezione internazionale. Le banche adottano un regolamento interno che identifica le misure per perseguire questo obiettivo. Con particolare riguardo alla diversità di genere, fatte salve le previsioni di legge, negli organi con funzione di supervisione strategica e di controllo, il numero dei componenti del genere meno rappresentato è pari almeno al 33% dei componenti dell’organo”
  • Legge 120/2011 (Golfo-Mosca) che disciplina le quote di genere nelle società quotate, imponendo che nei consigli di amministrazione e nei colleghi sindacali “il genere meno rappresentato deve ottenere almeno due quinti degli amministratori eletti”. Tale previsione deve risultare dallo Statuto delle società e, per i CDA, deve agire sulla composizione delle liste elettorali.
  • La stessa legge 120/2011 prevede che le disposizioni di applichino anche agli organi di amministrazione e di controllo (sindaci) alle società non quotate che sono controllate da pubbliche amministrazioni, per le quali è prevista una regolamentazione apposita mediante il DPR 251/2012. Tale DPR prevede una quota parti ad un terzo (invece che due quinti) per il genere meno rappresentato, che è la prescrizione previgente della legge 12/2011.
  • Il decreto legislativo 175/2016 relativo alle società a controllo pubblico ribadisce la proporzione di almeno un terzo al genere meno rappresentato, ma con riferimento alle nomine degli amministratori in corso d’anno.
  • Linee guida Assogestioni: Più sul versante della finanza, Assogestioni riprende il tema della diversificazione degli organi di vertice non limitandosi al genere, ma ampliando a età, genere e competenze, come del resto previsto dalla MIFID.

Come prima osservazione, va notato che la normativa italiana è molto stringente sia sugli istituti bancari che sulle società quotate.

LA SITUAZIONE REALE IN ITALIA

Per una rassegna sistematica si può riferirsi ai rapporti periodici CONSOB e Banca d’Italia, ‘La partecipazione femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società italiane’.

Ho però voluto sondare ad ampio spettro alcune realtà rappresentative, anche del mondo degli enti di previdenza:

INPS (maggiore ente di previdenza italiano):
CdA: 2 donne 3 uomini
Consiglio di Indirizzo e Vigilanza: 5 donne e 17 uomini

ENPAM (il maggiore ente di previdenza dei professionisti):
CdA: 1 donna, 15 uomini
Assemblea: 10 donne, 94 uomini
Collegio sindacale: 2 donne, 8 uomini

Cassa Depositi e Prestiti:
CdA: 5 donne, 4 uomini
Manager: 2 donne, 11 uomini
Collegio sindacale: 2 donne, 3 uomini

Fondazione Cassa Depositi e Prestiti:
CdA: 1 donna, 5 uomini

Banca d’Italia:
Direttorio: 1 donna, 4 uomini
Consiglio superiore: 6 donne, 7 uomini
Collegio sindacale: 2 donne, 3 uomini

ENEL
CdA: 4 donne, 5 uomini
Management team: 3 donne, 19 uomini

UNICREDIT
CdA: 6 donne, 7 uomini
Collegio dei sindaci: 2 donne, 3 uomini
Management: 5 donne, 10 uomini

GENERALI
CdA: 6 donne, 7 uomini
Management: 4 donne, 17 uomini

Da questa sintesi si può osservare che laddove le quote di genere non sono regolamentate (enti di previdenza, management team), l’equilibrio di genere non è rispettato e c’è una tendenza alla netta prevalenza numerica maschile.

In particolare nelle società quotate in cui l’equilibrio di genere è previsto per il CdA e il Collegio dei Sindaci, il management team (che non è oggetto di regolamentazione) risulta sistematicamente sbilanciato in senso maschile.

IL DIBATTITO IN ENPAP

Su questo tema, con riferimento al nostro ente di previdenza di categoria, c’è un dibattito abbastanza attivo ma piuttosto disordinato.

Ne avevo già scritto un anno fa, in occasione delle elezioni ENPAP: QUOTE DI GENERE IN ENPAP: PRIME RIFLESSIONI

Allora se ne fece un gran polverone. Oggi, a distanza di tempo, il tema viene ripreso in modo sostanzialmente strumentale ma francamente non ho ancora letto grandi contributi di pensiero.

Spero vivamente che se ne possa parlare apertamente, a tutti i livelli, maturando una posizione partecipata e informata.

Riprendo e ripropongo quindi le mie tesi di un anno fa, al mero fine di contribuire ad un dibattito sereno e informato:

  • Il nostro ente e la nostra categoria sono a mio avviso maturi per un’operazione di regolamentazione dell’equilibrio numerico di genere almeno per il CdA.
  • Credo che una regolamentazione possa essere utile sia come operazione civica, che come meccanismo di ulteriore funzionalità dell’ente.
  • Le quote di genere non garantiscono, in ogni caso, un CdA competente e capace. Questo resta un tema a sé stante, a prescindere dal genere, e a mio avviso molto serio e problematico.
  • In linea con i criteri già adottati a livello italiano e ipotizzati a livello europeo, il CdA dell’ENPAP potrebbe essere regolamentato prescrivendo una quota di 2 consiglieri su 5 (40%) del genere meno rappresentato. La previsione dovrebbe essere a Statuto.
  • Non sono molto orientato a stabilire meccanismi di regolamentazione diretta della composizione delle liste elettorali, in quanto il nostro sistema elettorale prevede anche candidature singole e fuori lista, ma più in generale credo vada lasciata libertà all’elettorato passivo di organizzarsi come ritiene. Credo basti che l’Ente regolamenti la composizione del CdA, con decadenza degli eletti fino a raggiungere la composizione corretta. Le varie liste infatti si adegueranno automaticamente, presentando sempre 2 candidati per genere per evitare eventuali decadenze in caso di elezione di tutti i candidati.
  • Sono fortemente in dubbio sull’applicazione di una regolamentazione per il Consiglio di Indirizzo Generale, perché è organo assembleare e probabilmente in questo caso la maggiore libertà di elettorato attivo e passivo è un interesse superiore rispetto all’equilibrio di genere, anche considerando che non è un organo con funzioni esecutive.
  • Dovrà essere svolto un ragionamento anche per il Collegio dei Sindaci, con la complicanza data dal fatto che due componenti su 5 sono indicati dai Ministeri Vigilanti.

In conclusione, credo che questo tema meriti di essere trattato in modo serio e circostanziato, lontano da forme di manipolazione strumentale utili soltanto a fare battage pseudo-politico (la politica è altra cosa).

BIBLIOGRAFIA: