La guerra dei contributi minimi

Un dibattito che non si è mai esaurito, quello sull’obbligo di versare almeno una cifra minima agli enti previdenziali. Che sia l’INPS o una cassa previdenziale per liberi professionisti, tutti prevedono che in presenza di un reddito troppo basso, vi sia un contributo minimo da pagare.

Il problema per alcune categorie rilevante, perché il contributo minimo può essere anche una cifra che supera i 3000,00 euro l’anno. Iniziare un’attività in questi casi può essere davvero penalizzante, perché oltre alle generali spese di avvio ci si trova pure un obbligo di versamento assolutamente non proporzionale al reddito effettivo.

Tuttavia, se si amplia il discorso e si colloca la previdenza nella prospettiva corretta, ci si accorgerà che il ragionamento da applicare è duplice.

Nella prospettiva individuale, occorre tener presente che i contributi versati sono una forma di risparmio, in ottica di lunghissimo periodo (intero arco di vita lavorativa), e con un vantaggio fiscale importante, rappresentato dalla deduzione dal reddito per l’intera somma versata.

Nella prospettiva collettiva, il versamento obbligatorio, compreso quello minimo, è una misura volta a tutelare la società dalla presenza di lavoratori che, non avendo versato sufficienti contributi previdenziali nel corso della carriera, vadano a pesare in modo improprio sugli altri cittadini.

In questi casi, per gli psicologi è sempre utile un confronto fra le diverse categorie di lavoratori, attraverso alcuni numeri che questo articolo riporta in dettaglio.

È guerra sui contributi “minimi” svantaggiano i professionisti giovani – Economia e Finanza con Bloomberg – Repubblica.it.