
La posizione dello psicologo sui vaccini.
Leggo per l’ennesima volta, nel dibattito sui vaccini per il Covid-19, da persone appartenenti alla nostra professione, la balzana idea che occorra rispettare in modo totalmente acritico qualunque opinione del paziente.
Pure quando palesemente incongrua, dannosa per lui o per altri, perfino illegale.
Una delle forme della questione è nei termini di cosa dovrebbe fare un terapeuta quando ha idee ‘discordanti’ da quelle del paziente.
L’implicito sottostante è chiaro: ‘non puoi sostenere il vaccino con i tuoi pazienti perché non devi imporre il tuo punto di vista, specie se diverso dal suo’.
Trovo che tutta la questione sia malposta.
Intanto non esiste, in un trattamento, una ‘verità’ del paziente ‘discordante’ da quella del terapeuta.
Esiste la verità del paziente. Che è una verità da accogliere.
Non con la benevolenza paternalistica del prete che raccoglie le pecorelle smarrite, perché non abbiamo di fronte un lattante ma un cittadino adulto a cui dobbiamo il rispetto e la considerazione che merita in quanto cittadino adulto e pensante al pari di noi.
Per cui no, non abbiamo il compito di trasformarci in una sorta di utero privo di volontà di azione e connotato dall’accettazione assoluta. È una posizione così spregiativa e sminuente del paziente da essere assolutamente inaccettabile.
Da professionisti che si occupano di salute, l’ascolto che dobbiamo al paziente è prima di tutto uno strumento tecnico per comprenderne la situazione senza contaminarla con la sovrascrittura di un nostro pensiero ideologico.
Non tratto nemmeno la questione etica di accettazione del paziente in quanto Altro, persona, mi pare così scontata da non doverla nemmeno dire.
Il tema è su ciò che dobbiamo fare quando le convinzioni, i comportamenti, le azioni o l’ideologia di un paziente possono generare – oggettivamente – conseguenze dannose o un agire non congruo.
È il caso del paziente con una leucemia che intende curarsi con il succo di Aloe, o del paziente convinto che l’abuso sessuale su minori sia legittima forma di espressione della sua sessualità, o che due bottiglie di vino rosso al giorno gli facciano bene, o che commettere reati sia giusto se serve per sfamare i figli.
Ecco, in tutte queste situazioni, non ce ne frega assolutamente nulla delle maledette opinioni del terapeuta.
Per quanto mi riguarda il terapeuta può anche pensare che gli elefanti volano.
O che i fiori di bach curano il cancro.
Ma di fronte ad un paziente con il cancro, il terapeuta ha il dovere professionale di mettere da parte le sue magnifiche idee sul mondo e assumere come vere quelle date come tali dalla comunità scientifica.
Per cui, al paziente oncologico convinto di curarsi con il succo di Aloe (idea del paziente) non dirà né ‘rispetto la tua idea, muori in pace’, né ‘curati con i fiori di bach che fanno meglio’ (idea del terapeuta).
Dirà invece: la cura per il cancro secondo la comunità scientifica è di rivolgersi ad una struttura ospedaliera e seguire un trattamento validato secondo le procedure scientifiche.
Tutto il resto, compresa la mancata informazione sui dati scientifici pubblicati dalle fonti istituzionali, è atto contrario alla salute del paziente e come tale rappresenta violazione dei nostri doveri professionali.
Informare sui dati ufficiali (anche se per ragioni nostre, come persone, non li condividiamo) e invitare il paziente a curare la propria salute in modo congruo, non è assolutamente mancanza di rispetto o di accoglienza delle verità del paziente.
Le verità del restano intatte, nessuno le tocca e nessuno le vuole smantellare. Lo farà il paziente, se lo vuole.