Paradossi da appalto
Tutti hanno sentito parlare almeno una volta del Codice degli Appalti. Ma chi ne conosce davvero pregi e difetti?
DI COSA SI TRATTA?
Il Codice degli Appalti è il nome gergale con cui viene chiamata la complessa normativa che risponde al nome completo di “Decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163 – Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. GU n. 100 del 2-5-2006 – Suppl. Ordinario n.107″
Si tratta del complesso di norme che dice come le pubbliche amministrazioni devono affidare incarichi e fare acquisti. Ovviamente non ce la siamo inventata di sana pianta nel 2006, una normativa del genere: nasce dall’esperienza maturata in decenni, che affonda le radici fino alla nascita dei grandi Stati e Imperi europei, quando iniziò a porsi il problema di come regolare l’acquisto di tutto ciò che serviva agli enormi apparati statali centralizzati, e alle loro emanazioni locali.
Saltando direttamente all’Italia, con il Codice Appalti del 2006 si arriva a recepire in modo puntuale tutto ciò che è nato dall’esperienza storica, sedimentata anche nelle indicazioni europee. Ma non è tutto oro quel che luccica.
LA NORMATIVA PIU’ VARIABILE DELLA STORIA REPUBBLICANA
Sembra assurdo, eppure la normativa che dovrebbe rimanere più certa e stabile, è quella più modificata. In QUESTO ARTICOLO vengono elencate tutte le modifiche apportate al Codice in poco più di un anno, dal 2011 al 2012, ed è impressionante scoprire che il 30% circa del testo è stato modificato.
Ci sarebbe molto altro da dire, sull’incertezza normativa. La mia modesta esperienza di Consigliere di Amministrazione di uno degli enti soggetti (dal 2011) al Codice Appalti, mi porta ad affermare che questo complesso apparato di norme è talmente complesso e variabile, da rendere estremamente complesso il pieno rispetto delle norme.
Ma siamo in buona compagnia. Parlo spesso con altri Consiglieri di Amministrazione di enti previdenziali, e ho rapporti di amicizia con persone che gestiscono gli acquisti per conto di Aziende Sanitarie e Ospedaliere di grandi dimensioni, con assessori o consiglieri di piccoli e medi enti locali, con avvocati. E davanti alla macchina del caffè siamo tutti concordi, nel ritenere che il Codice degli Appalti così com’è, spesso rappresenta più una complessità che un aiuto.
I VANTAGGI DI UN CODICE APPALTI
Prima di tutto, l’ordine che inserisce negli affidamenti. Il Codice recepisce alcuni principi fondamentali per la gestione degli acquisti e crea una filiera che è piuttosto ordinata ed efficiente, almeno nella sua struttura di fondo: ti obbliga a pensare esattamente alle caratteristiche che deve avere CHI OFFRE IL SERVIZIO/BENE e alle caratteristiche che deve avere LA PRESTAZIONE O IL BENE DA ACQUISTARE. Che sono due cose ben diverse.
Il Codice impone di stabilire nettamente le caratteristiche dei soggetti che possono inviare offerte, stabilendo a priori degli indici da rispettare: in questo modo non potrà capitare che una grande azienda ospedaliera con 2000 coperti in mensa al giorno debba ricevere offerte da qualche centinaio di rosticcerie locali presenti in città e palesemente non strutturate per fare 2000 pasti al giorno.
E poi impone di definire bene quello che si vuole acquistare. In questo modo, la stessa grande azienda ospedaliera stabilirà a prori che vuole 2 primi e 2 secondi al giorno, sia di pesce che di carne, e non si troverà sommersa da offerte di ristorazione con piatti unici, di menù vegani o di pasti a base di torte alla panna.
Infine, il Codice Appalti dice che il prezzo deve avere una valutazione separata dall’offerta, e impone a chi bandisce la gara di specificare il ‘peso ponderale’ del prezzo rispetto alla qualità [nei procedimenti detti ‘ad offerta economicamente più vantaggiosa’ che sono i più diffusi. Così si è costretti ad esplicitare che al prezzo di attribuiranno 20 punti e alle caratteristiche proposte 80 punti, ad esempio.
GLI SVANTAGGI DEL CODICE
Il Codice degli appalti funziona in base al valore dell’affidamento: per cifre basse, al di sotto dei 40.000 euro, gli acquisti e gli affidamenti di servizi possono seguire percorsi meno formalizzati, pur nel rispetto dei principi cardinali di rotazione dei fornitori, trasparenza, non discriminazione su base geografica, applicazione di indagini di mercato, etc. Per attuare la procedura basta un RUP (Responsabile Unico del Procedimento) che è un funzionario dell’ente/azienda pubblica, un dipendente, che non riveste ruoli politici (consigliere di amministrazione o simili) e si presume neutrale nella valutazione dei fornitori.
Per cifre più alte, la procedura si complica enormemente: più preventivi da raccogliere, maggiore formalizzazione, fino ai vincoli di pubblicazione su quotidiani nazionali, Gazzetta Ufficiale, e poi gare a dimensione europea… insomma, nella mia esperienza di Consigliere di Amministratore in un ente di previdenza, non è raro dover fare affidamenti da 120-140.000 euro. Si tratta di cifre importanti per un normale cittadino, ma sono all’ordine del giorno quando devi comprare un software gestionale, un nuovo impianto di illuminazione per tutta la sede, un servizio di archiviazione di documenti cartacei, un servizio di consulenza strutturata. E allora tutto diventa difficile, complesso e lento: occorre stabilire criteri, scrivere e pubblicare un bando pubblico, individuare una commissione di funzionari e non più un RUP unico, passare attraverso varie fasi.
PARADOSSI
Il Codice degli Appalti ne crea diversi. Tanto per presentare i più evidenti:
IL TEMPO PASSA, I BISOGNI CAMBIANO. Possono passare mesi, fra l’idea e la sua realizzazione, e intanto spesso il bisogno è cambiato, le esigenze sono diverse, ma il servizio offerto dal vincitore della gara è quello rappresentato nell’offerta, prezzato sulla base dei criteri di gara. E quindi si può trovarsi a dover trattare con l’aggiudicatario in corso d’opera e fra mille difficoltà, solo per poter spendere denaro in modo efficiente e non in base a bisogni di sei mesi prima, rimasti nel frattempo insoddisfatti.
PIU’ SI SPENDE, MENO SI HA CONTROLLO.
(1) Per cifre piccolissime, i Consigli di Amministrazione – che sono gli organi apicali che hanno l’intera responsabilità civile e penale di come vanno le cose in un ente pubblico – possono procedere in modo semplice ad affidamenti diretti e rapidi: la parcella dell’avvocato da poche migliaia di euro non è un problema.
(2)Per cifre medie, i Consigli di Amministrazione possono definire quel che gli serve, ma è il RUP a cercare il fornitore: sarebbe come se io volessi un auto, ma fossi obbligato ad affidare i soldi al mio dipendente per farmela comprare da lui, dove vuole e con il suo stile di trattativa. Potrei ritrovarmi l’auto giusta, ma il mio dipendente potrebbe aver scelto un venditore poco propenso a farmi manutenzione periodica, aver aggiunto qualche optional indesiderato, o trattato per un prezzo eccessivo.
(3) Per cifre consistenti, i Consigli di Amministrazione possono definire caratteristiche del fornitore e del servizio, ma poi tutto viene affidato ad una commissione composta obbligatoriamente da funzionari dell’ente/azienda, che a loro discrezione e senza possibilità di intervento per i consiglio di amministrazione, svolgono la selezione con i propri tempi, modi e gusti. Proprio in questi casi in cui il valore dei servizi/beni sono più elevati, c’è anche la minore possibilità di controllo da chi ha poi l’effettiva responsabilità e usa il servizio. Per cifre importanti, c’è una netta separazione fra chi deve usare il servizio (amministratori) e chi lo sceglie (funzionari). Capita piuttosto frequentemente che ci si trovi ad operare con consulenti, prodotti o servizi sconosciuti, rispetto a cui non vi è rapporto fiduciario, con scarsa possibilità di chiudere o modificare i rapporti in caso di insoddisfazione.
LA CORRUZIONE NON FINISCE QUI.
Il sistema degli appalti definito dal Codice italiano a mio avviso non è ancora un sistema efficace per ridurre la corruzione nella filiera degli affidamenti e acquisti. Sottrarre agli organi politici – che sono per definizione transitori, la scelta dei fornitori – ed affidarla ai funzionari – che sono per definizione stabili negli enti – di fatto espone comunque al rischio di abusi.
Purtroppo quando si pensa alla corruzione ci si focalizza sul ruolo politico, dimenticandosi che i grandi enti pubblici sono fatti di una struttura di dirigenti e funzionari dipendenti, che restano in pianta stabile e gestiscono l’ente mentre al vertice c’è una rotazione di organi politici.
I fatti di cronaca che periodicamente ricorrono dimostrano che in ogni caso, il Codice degli Appalti può essere violato per il solo fatto che cambia in continuazione. Ne ho parlato all’inizio: una normativa così complessa e variabile sembra nata apposta per non garantire certezza nel diritto: spesso una gara di valore elevato dura molti mesi, ben più di quanto durano le singole norme del Codice degli Appalti. Mentre un ente svolge un intero procedimento di gara nell’arco di sei mesi, la normativa che dovrebbe regolare la procedura stessa subisce variazioni nella misura del 15%.
Ci sarebbe molto altro da dire. Ma l’esperienza di chi si scontra costantemente con questo leviatano normativo è per certi versi sconcertante: non sapere a che norma riferirsi, ritrovarsi ‘in casa’ sconosciuti che non ti sei scelto in base ad un rapporto fiduciario a cui devi corrispondere decine di migliaia di euro, trovarsi nelle mani di funzionari che non sempre hanno le competenze e la corretta prospettiva per valutare offerte di ampia complessità, avere pochi margini di manovra per modificare prestazioni e contratti.
Insomma, come disse una volta qualcuno: ‘OBBEDISCO’. Ma sono molto critico rispetto alla reale utilità di applicazione del Codice Appalti, specialmente in enti che nascono privati come le casse di previdenza del decreto 103/96.