Riavere l'intero capitale versato all'ENPAP. E' possibile?

Riavere l’intero capitale versato all’ENPAP. E’ possibile?

Una domanda frequentissima: ‘sono vicino alla pensione, posso riavere in unica soluzione tutto quello che ho versato all’ENPAP?’

PROSSIMI ALLA PENSIONE. Il problema è sentito particolarmente dagli iscritti ENPAP vicini alla pensione, che hanno versato contributi per circa 20 anni (ENPAP nasce con il decreto legislativo 103/1996).

La logica dei sistemi previdenziali a contribuzione – come quello di ENPAP – funziona attraverso l’accumulazione da parte dell’iscritto di risparmi, che poi maturano interessi continui in un arco di tempo che dovrebbe essere di 35-40 anni. Su questo arco di tempo il sistema contributivo è in grado di dispiegare i suoi effetti e produrre una pensione adeguata. Su un arco temporale inferiore, il sistema si inceppa.

20 anni è un periodo di contribuzione breve, nella logica dei sistemi pensionistici: non permette il versamento di capitali sufficienti a creare una buona riserva da cui attingere, e il denaro rimane investito per un tempo troppo breve per crescere come dovrebbe.

E’ come se impastassimo un pane con una quantità insufficiente di farina, e lo lasciassimo a lievitare per un tempo troppo breve: verrebbe un risultato scadente.

VORREI INDIETRO L’INTERO CAPITALE VERSATO. Verificata l’ipotetica pensione che andranno a ricevere, per molti iscritti la richiesta diventa proprio questa: riavere in unica soluzione quanto versato. Una richiesta peraltro legittima, dal punto di vista dell’iscritto.

In passato a riguardo furono costruite anche alcune proposte formali portate in ENPAP: il compianto collega Franco Baldini fu fervido sostenitore di una di queste iniziative e ci confrontammo spesso. Vennero pure studiati piani di fattibilità, che ho avuto modo di visionare.

RISULTATO? NULLA, FINORA. Ad oggi, è impossibile pensare che i contributi versati ad ENPAP – o a qualunque altra gestione pensionistica – possano essere restituiti. Perfino i fondi pensione complementari, che pure sono una scelta libera del risparmiatore, non consentono la restituzione dell’intero capitale versato (Leggi l’articolo 14 DIFFERENZE FRA CASSA DI PREVIDENZA E FONDI PENSIONE). Temo che in futuro la situazione non cambierà. Per due ragioni, una sociale e una normativa che discende dalla prima.

(1) LA RAGIONE SOCIALE è che la previdenza di primi pilastro serve alla duplice funzione di  (1) proteggere il singolo individuo, obbligandolo a risparmiare per avere una rendita durante la vecchiaia, e (2) proteggere la collettività, creando un sistema generalizzato di risparmio obbligatorio in modo da rendere prevedibile la gestione delle persone non più in grado di lavorare.

(2) LA RAGIONE NORMATIVA è il vincolo imposto non tanto da singoli articoli di leggi, ma dall’intero impianto della normativa in materia pensionistica, che è impregnato della logica di restituire quanto versato in forma di rendita rateale e non di capitale.

PERCHE’ A RATE E NON L’INTERO CAPITALE? seguendo il ragionamento di qui sopra, se io devo garantire che una collettività di cittadini abbia di che vivere per tutto il periodo di inattività – dalla cessazione del lavoro al decesso – devo necessariamente erogare denaro in modo rateale e continuo. In caso contrario, consegnando l’intero capitale versato, esporrei la collettività al rischio che i singoli individui possano sprecare il proprio risparmio e non abbiano poi di che vivere.

E LA MIA LIBERTA’? Ecco, questo è uno dei casi in cui il bene collettivo entra in conflitto con la libertà individuale. Ma in tutti i paesi sviluppati al mondo, appena c’è l’opportunità di farlo, la previdenza sociale basata su un sistema di risparmio obbligatorio imposto a tutti è una delle prime cose ad essere istituita. E questo perché gli Stati devono necessariamente organizzare forme di tutela della collettività, anche a costo di intaccare margini di libertà individuale.

L’UNICO CASO DI RESTITUZIONE DEL CAPITALE. E’ l’eccezione che conferma la regola. Esistono casi in cui i versamenti sono veramente troppo ridotti, tanto che il meccanismo si inceppa in modo strutturale e la pensione non viene prodotta: seguendo l’esempio di prima, c’è così poca farina da rendere inutile iniziare a impastare. Dato che non è possibile trovare un criterio universalmente giusto, ogni paese ha fissato arbitrariamente un proprio limite.

In Italia, il limite considerato inutile ai fini pensionistici è di cinque anni: sotto i cinque anni di contributi versati in una gestione previdenziale, si considera che il risparmio sia inutile ai fini pensionistici. Questo limite è sancito anche normativamente, ad esempio nell’articolo 1 comma 20 della Legge 335/1995*.

INTERPRETAZIONI. Che significa che sotto i 5 anni non si ha diritto a pensione? che ne facciamo dei soldi versati per meno di 5 anni? ci sono prassi diverse.

Ad esempio, in ENPAP vengono restituiti interamente in unica soluzione. In altre gestioni, i versamenti vengono semplicemente incamerati e restano a disposizione della collettività: il lavoratore perde i soldi che ha versato. Filosofie diverse nell’approccio al problema, le uniche consentite con l’attuale sistema di norme.

UNA CONCLUSIONE POSITIVA. Tutto questo articolo non ha però toccato il tasto fondamentale: che i soldi versati vengono comunque restituiti. Viene restituito tutto ciò che è stato versato, maggiorato di un interesse e della copertura dell’inflazione: il sistema è concepito per essere in equilibrio e restituire a ciascuno ciò che ha risparmiato, spalmato su tutti gli anni di sopravvivenza. Il calcolo è una semplice divisione basata sulla stima statistica dell’aspettativa di vita. Ho spiegato tutto questo nell’articolo COSA C’E’ IN UNA PENSIONE ENPAP.

 

*Art. 1 comma 20 Legge 335/1995. Il diritto alla pensione di cui al comma 19, previa risoluzione del rapporto di lavoro, si consegue al compimento del 57esimo anno di età, a condizione che risultino versati e accreditati in favore dell’assicurato almeno cinque anni di contribuzione effettiva e che l’importo della pensione risulti essere non inferiore a 1,2 volte l’importo dell’assegno sociale di cui all’articolo 3, commi 6 e 7. Si prescinde dal predetto requisito anagrafico al raggiungimento dell’anzianità contributiva non inferiore a 40 anni, determinata ai sensi del comma 7, secondo periodo, nonché dal predetto importo dal sessantacinquesimo anno di età. Qualora non sussistano i requisiti assicurativi e contributivi per la pensione ai superstiti in caso di morte dell’assicurato, ai medesimi superstiti, che non abbiano diritto a rendite per infortunio sul lavoro o malattia professionale in conseguenza del predetto evento e che si trovino nelle condizioni reddituali di cui all’articolo 3, comma 6, compete una indennità una tantum, pari all’ammontare dell’assegno di cui al citato articolo 3, comma 6, moltiplicato per il numero delle annualità di contribuzione accreditata a favore dell’assicurato, da ripartire fra gli stessi in base ai criteri operanti per la pensione ai superstiti. Per periodi inferiori all’anno, la predetta indennità è calcolata in proporzione alle settimane coperte da contribuzione. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, determina, con decreto, le modalità e i termini per il conseguimento dell’indennità