
L’epoca delle pensioni tristi?
Avrò una pensione triste. Misera. Povera. Indecente. Non avrò una pensione.
Espressioni usate spesso (troppo) da chiunque si approcci al tema pensionistico con l’aspettativa nostalgica delle pensioni dei nostri nonni.
Le pensioni di chi ha iniziato a versare dopo il 1996 sono sicuramente più tristi di quelle di chi li ha preceduti. L’età dell’oro delle pensioni è tramontata nel 1996, per effetto della Legge 335/95.
Oggi le pensioni obbediscono allo stretto METODO CONTRIBUTIVO. Sono dei numeri. I numeri non hanno anima, si sommano e si dividono. Producono un risultato che dipende dai fattori e dagli addendi.
La pensione per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 è frutto di una banale operazione matematica: ogni anno per quarant’anni si versa qualcosa, ed ENPAP (o INPS o qualunque altro ente di previdenza) ci aggiunge la rivalutazione. Esattamente come un conto di risparmio.
Il giorno della pensione, tutto ciò che è stato accantonato viene diviso per gli anni di aspettativa di vita (attualmente circa 19 al 65° anno di età). Si ottiene così il rateo annuo di pensione.
Chi sopravvive oltre l’aspettativa di vita prevista riceverà comunque la pensione. Chi sopravvive meno non ne beneficerà direttamente, ma ne beneficeranno i suoi superstiti. E questo è l’unico meccanismo di compensazione dell’attuale sistema previdenziale.
L’equità matematica di questo sistema è certa: ricevi solo ciò che versi, con un piccolo margine di sicurezza se sopravvivi oltre la soglia prevista.
Ciò che è iniquo è la differenza rispetto alle generazioni precedenti, che ancora stanno ricevendo pensioni calcolate su contributi che non hanno mai versato e quindi sono in carico alla fiscalità generale. L’iniquità generazionale è un problema etico e pratico assoluto, e irrisolto.
Si tratta inoltre di un sistema socialmente inefficiente. L’obiettivo di un sistema previdenziale non è quello di salvare i singoli, ma di preservare e proteggere l’equilibrio sociale evitando di creare una massa enorme di cittadini indigenti in età anziana. Il metodo contributivo non è sicuramente adatto a questo scopo.
Grazie Federico per la tua puntuale informazione. Mi chiedo: come mai i pensionati INPS (e quelli delle casse assorbite) hanno come pensione minima quella sociale, qualsiasi cosa abbiano versato e l’ENPAP no?
Buongiorno, i pensionati sono una fetta variegata della popolazione italiana che corrisponde a qualche milione di persone. Di questi, una minima parte ha la c.d. pensione minima come eredità dalle regole vigenti prima del 1996. Nessun pensionato con pensione contributiva (contributi post 1996 per intenderci) ha la ‘pensione minima’, che è stata abolita con la riforma Dini del 1995.