I conti del sistema pensionistico italiano non sono in equilibrio

Il nuovo editoriale di Massimo Angrisani spiega che il sistema previdenziale pubblico italiano riceve copiosi travasi di denaro dallo Stato. Per fare un paragone, il deficit previdenziale della Tunisia post-rivoluzione, dopo anni di regime, è dieci volte inferiore.

E così, mentre le casse previdenziali dei liberi professionisti sono alle prese con i test di sostenibilità a 50 anni, pena la trasformazione immediata al sistema a capitalizzazione, l’INPS riceve dallo stato qualcosa come 40 miliardi di euro l’anno.

Questa cifra, che fa impallidire i bilanci di qualsiasi ente previdenziale dei professionisti, proviene interamente dalla tassazione dei cittadini italiani, compresi i professionisti. Che così si trovano a contribuire alla propria pensione con i versamenti alle casse, e a sostenere indirettamente le pensioni INPS di cui non fruiranno mai.

Le polemiche delle scorse settimane sul costo di gestione delle casse dei liberi professionisti dovrebbe essere affrontato solo dopo aver sciolto la questione pregiudiziale della voragine INPS, che costa ai cittadini migliaia di volte più di qualsiasi organo di amministrazione di casse private.

(Fonte: Logica Previdenziale: I conti del sistema pensionistico italiano non sono in equilibrio.)

 

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Vogliamo ancora una volta esprimere con molta chiarezza il nostro pensiero in modo tale che le parole non diano adito a possibili fraintendimenti: i conti del sistema pensionistico italiano non sono in equilibrio e non lo saranno ancora per molti decenni a venire.Parlando del sistema pensionistico italiano intendiamo sostanzialmente riferirci all’INPS che oramai avendo assorbito l’INPDAP (Ente di previdenza dei dipendenti pubblici), rappresenta, fatta eccezione per le Casse professionali, la quasi totalità dell’intero sistema pensionistico obbligatorio del Paese.In diversi precedenti editoriali abbiamo denunciato la mancanza di equilibrio del Sistema pensionistico spiegando e documentando le nostre affermazioni sia mediante i bilanci stessi degli Enti previdenziali, sia mediante l’uso di documentazione ufficiale. Abbiamo dimostrato che il sistema pensionistico italiano per pagare le pensioni non utilizza esclusivamente i contributi che incassa, come deve essere per un sistema sano ovvero con i conti in equilibrio, ma ha bisogno di “pesanti” trasferimenti da parte dello Stato per pagare il “conto” della spesa pensionistica, trasferimenti aggiuntivi rispetto ai contributi che il sistema incassa e che sono quantificabili in non meno di 40 miliardi di Euro l’anno.

Tale cifra rappresenta una valutazione per difetto dell’effettiva entità dei trasferimenti che lo Stato effettua e che sono necessari per saldare il “conto” delle pensioni. In altre parole, per pagare pensioni saranno necessari non meno di 40 miliardi di Euro dei circa 100 miliardi che lo Stato trasferirà quest’anno all’INPS per assolvere ai suoi compiti istituzionali che includono anche la spesa di carattere sociale ed assistenziale.

L’enorme disavanzo attuale del sistema è frutto in primo luogo di un uso spesso sfrontato del sistema pensionistico come strumento “politico-elettorale”, nel senso che sono state frequentemente promesse ed erogate prestazioni molto sovradimensionate rispetto ai contributi versati, ponendo i conseguenti disavanzi presenti e futuri a carico della collettività.

A tale problema si aggiunge l’oramai imminente arrivo nella fascia di età di pensionamento della “enorme onda demografica” conseguente al boom delle nascite del secondo dopo guerra.

Con riguardo a questo secondo fenomeno abbiamo chiarito che, contrariamente a quanto ritenuto dai Riformatori del ’95, il solo passaggio al sistema contributivo non è in grado di “immunizzarne”[1] gli effetti in termini di spesa. La modalità tecnica corretta per “immunizzarlo” consiste nel creare un’adeguata riserva, che abbiamo definito differenziale. Tale riserva si doveva e si deve costruire accantonando parte dei contributi delle “generazioni del baby boom”. Invece, con scarso senso dell’equità intergenerazionale, tutti i contributi versati da tale generazione sono stati e sono tuttora utilizzati per aumentare le pensioni delle generazioni precedenti.

Malgrado la macroscopica evidenza di questi due fenomeni, assistiamo a frequenti esternazioni in merito ad un presunto equilibrio dei conti del sistema pensionistico italiano. Tali esternazioni sono effettuate da parte di chi riveste ruoli di primo piano nel Sistema pensionistico stesso. Affermazioni che trovano sponda anche a livello internazionale da parte di “esperti” di cui ci piacerebbe conoscere l’effettiva competenza in materia di sostenibilità dei sistemi pensionistici, nonché l’effettiva conoscenza della realtà italiana.

Non è difficile verificare che la grande maggioranza degli italiani è tuttora convinta dell’equilibrio dei conti pensionistici, nonostante il fatto che le ripetute esternazioni in merito abbiano trovato sistematica smentita nei fatti. Non possiamo dimenticare che anche poco prima della promulgazione della “legge taglia pensioni” del 2011 (Legge 22 dicembre 2011, n.214), il Presidente dell’INPS tranquillizzava gli italiani dichiarando orgogliosamente che i cantieri della previdenza erano finalmente chiusi [2].

In realtà i cantieri pensionistici sono stati definitivamente chiusi, con tanto di garanzia di conti in equilibrio, per non meno di quindici volte negli ultimi vent’anni.

Intendiamo ribadire, anche in questo editoriale, che i conti del sistema pensionistico italiano sono tutt’altro che in equilibrio, non per sterile polemica o per gettare allarme sociale ma perché tale mancanza di equilibrio comporterà delle gravi conseguenze per le pensioni degli italiani in termini di adeguatezza e sostenibilità.

Conseguenze che, a causa degli errori di valutazione effettuati sino ad oggi, come per esempio ritenere sufficiente ai fini della sostenibilità il solo passaggio alla modalità di calcolo contributiva della pensione, è possibile solo tentare di contenere essendo molto difficile evitarle del tutto.

L’unica soluzione che riteniamo realisticamente percorribile a questo scopo consiste nell’utilizzo del patrimonio pubblico. Patrimonio che non deve essere alienato ma conservato proprio per garantire un adeguato Welfare presente e futuro agli italiani. Siamo contrari alla vendita del patrimonio per abbattere il debito pubblico, al cui fine dovrebbe essere indirizzato il recupero di quanto la corruzione ha sottratto e tuttora sottrae al denaro pubblico.

E’ necessario che ognuno si assuma le proprie responsabilità, noi ci assumiamo quella delle nostre affermazioni che siamo disponibili a sostenere in modo documentato in qualsiasi sede nazionale ed internazionale.

E’ opportuno che chi ritiene i conti in equilibrio sia a conoscenza di quanti soldi lo Stato già trasferisce al sistema pensionistico italiano per tenerlo in piedi, in aggiunta ai contributi a suo carico in qualità di datore di lavoro.

Bisogna ricordare che, in aggiunta a quanto il Fondo Pensione dei Lavori Dipendenti dell’INPS incassa come contributi, per pagare le pensioni lo Stato trasferisce circa 24 miliardi.

Se lo Stato sborsa già tutti questi soldi per pagare pensioni spesso “poco pagate” è evidente che ha grandi difficoltà nel trovare le risorse necessarie per sanare il problema degli esodati o di coloro che si trovano alle prese con i ricongiungimenti onerosi.

17-10-2012

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[1] “Dopo anni di riforme abortite, è difficile non vedere i passi avanti che la riforma previdenziale del 1995 ha permesso sotto il profilo dell’immunizzazione del sistema previdenziale rispetto agli shock demografici…..”. Fonte: Commissione per l’analisi delle compatibilità macroeconomiche della spesa sociale”, (28 febbraio 1997), “Relazione finale”.

[2] IlSole24Ore, 4 novembre 2011, Mastrapasqua (Inps), basta allarmismi, non serve un’altra riforma delle pensioni.