Maternità: le tutele per lavoratrici e libere professioniste.

Maternità: le tutele per lavoratrici e libere professioniste.

Una domanda ricorrente delle psicologhe libere professioniste riguarda la maternità: a quali forme di aiuto si può accedere?

Quella che segue è una sintesi delle principali tutele per i lavoratori dipendenti e i professionisti. Ho evitato tutti i casi particolari, ma l’area commenti è a disposizione per richieste specifiche: potrebbe essere utile anche per altri lettori.

LIBERI PROFESSIONISTI. Occorre premettere che per i liberi professionisti in genere c’è ben poco, oltre alla canonica indennità di maternità corrisposta alla madre in caso di parto, adozione o affido. Tutele ulteriori sono una scelta dei singoli Enti di previdenza.

PSICOLOGI. ENPAP prevede due forme di assistenza specifiche, oltre all’indennità di maternità canonica, dedicate agli psicologi: (1) l’indennità di malattia, fruibile anche per patologie occorse durante la gravidanza al di fuori del periodo coperto dall’indennità di maternità. QUI maggiori informazioni(2) l’indennità di genitorialità, dedicata sopratutto ai padri, che consiste in un contributo una tantum – attualmente di 1000,00 Euro, corrisposto per ogni figlio qualora l’iscritto non abbia diritto all’indennità di maternità. QUI maggiori informazioni.

GRAVIDANZA E PARTO. Per ogni lavoratrice è prevista l’indennità di maternità, che lo Stato Italiano riconosce in misura paritaria e proporzionale al reddito. Di fatto, è un’erogazione economica che copre 5 mesi – i due precedenti e i tre successivi al parto – con una cifra pari all’80% di quello che la lavoratrice avrebbe percepito.

  • Chi può beneficiarne. Ogni lavoratrice dipendente, autonoma o libera professionista che sia iscritta all’INPS o ad una qualunque cassa di previdenza per professionisti, come ad esempio l’ENPAP per gli psicologi.
  • Quando si può chiedere. Parto oppure interruzione di gravidanza – spontanea o volontaria – oltre il 6° mese.
  • Quanto si percepisce. L’indennità per le lavoratrici dipendenti è stabilita dal Decreto Legislativo 151/2001 all’articolo 22, ed è pari all’80% della retribuzione. Ma per i liberi professionisti, che non hanno una retribuzione in senso stretto, il metodo di calcolo si trova all’articolo 70, commi 2 e 3: è pari all’80% dei cinque dodicesimi del reddito professionale annuo, dichiarato nel secondo anno precedente a quello del parto o dell’interruzione di gravidanza. Ci si basa sul ‘secondo anno precedente‘ perché è la dichiarazione reddituale certa più recente: i redditi dell’anno immediatamente precedente non sono infatti ancora consolidati in una dichiarazione, che generalmente viene presentata negli ultimi mesi dell’anno successivo.
  • Normativa di riferimento. D.Lgs. 151/2015, modificato recentemente dal D.Lgs. 80/2015.

INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA. (1) Entro i primi 90 giorni di gravidanza, per le lavoratrici dipendenti l’interruzione viene considerata a tutti gli effetti come una malattia, e trattata come tale anche dal punto di vista dell’indennità e dell’astensione dal lavoro (D.Lgs. 151/2001, articolo 19). Le libere professioniste dovranno valutare se esistono forme di indennità di malattia corrisposte dal proprio ente di previdenza. Nel caso degli psicologi, l’ENPAP offre una indennità di cui ho parlato in QUESTO ARTICOLO. (2) Fra il 3° e il 6° mese, le lavoratrici dipendenti avranno lo stesso trattamento previsto per i periodi di malattia, mentre per le libere professioniste l’articolo 73 del D.Lgsl. 151/2001 prescrive una indennità pari al reddito professionale calcolato come l’80% di un dodicesimo del reddito professionale dichiarato nel secondo anno precedente l’evento.  (3) Oltre il 6°mese, l’interruzione di gravidanza spontanea o volontaria da’ diritto allo stesso trattamento che si avrebbe in casi di parto.

ASTENSIONE OBBLIGATORIA DAL LAVORO [=CONGEDO DI MATERNITA’]. Il ‘Congedo di maternità’, regolato agli articoli da 16 a 27 del D.Lgsl. 151/2001, impone che le lavoratrici dipendenti si astengano dal lavoro durante i due mesi precedenti il parto, e i tre mesi successivi, con possibilità di una minima flessibilità a 1 mese prima e 4 mesi dopo il parto (articolo 20).

Le libere professioniste non hanno obbligo di astensione dal lavoro: possono ricevere l’indennità di maternità ma continuare a lavorare senza alcun limite, anche fino al giorno prima del parto. Vi sono in proposito due sentenze della Corte Costituzionale: sentenze n. 150 del 1994 e n. 181 del 1993.

Il ‘Congedo di Paternità’ è previsto dalla normativa (articoli 28-31 del D.Lgs. 151/2001) solo nel caso in cui il padre debba sostituirsi alla madre per sua grave infermità, morte o abbandono. In questi casi, presentando apposita documentazione riceverà il medesimo trattamento economico e di astensione al lavoro che sarebbe spettato alla madre lavoratrice dipendente, e il medesimo trattamento economico in casi di libera professione.

CONGEDI PARENTALI. I congedi parentali riguardano solo ed esclusivamente i lavoratori dipendenti. Si tratta di agevolazioni che permettono al lavoratore o alla lavoratrice dipendente di astenersi volontariamente dal lavoro per stare con i figli, ricevendo una retribuzione decurtata. I limiti dipendono anche dalla contrattazione collettiva di settore, ma il D.Lgs. 151/2001 agli articoli 32-38 stabilisce che (1) i congedi possano essere fruiti fino al 12° anno di età del bambino (2) per un periodo massimo di sei mesi per ciascun genitore (3) con una retribuzione pari al 30% della retribuzione, con alcune condizioni in base all’età del bambino.

CONGEDI PER MALATTIA DEL FIGLIO. Si tratta di un beneficio che riguarda solo i lavoratori dipendenti, e permette loro di astenersi dal lavoro – senza retribuzione ma mantenendo intatti i diritti previdenziali, di anzianità e ferie – per periodi di malattia certificata dei figli. Fino a 3 anni di età, non c’è limite al numero di giorni di congedo parentale. Oltre i 3 anni di età e fino agli 8 anni, sia il padre che la madre possono ottenere fino a 5 giorni di congedo per ciascun figlio.

ADOZIONI E AFFIDAMENTI. In questo caso, valgono norme specifiche che in parte ricalcano quelle per la gravidanza e il parto, ma che differiscono per alcuni aspetti. Data la specificità della materia, ne parlerò in un articolo dedicato.

NORME DI RIFERIMENTO. Tutto ciò che riguarda il tema ‘lavoro & maternità’ è contenuto nel D.Lgls. 151/2011, recentemente modificato in molti passaggi dal D.Lgs. 80/2015 che modifica sensibilmente in meglio alcune forme di tutela.

CONCLUSIONI. I maggiori istituti di tutela per i genitori sono dedicati ai lavoratori dipendenti, e sono pensati per garantire che le assenze dal lavoro abbiano una forma di giustificazione e regolamentazione. In alcuni casi, sono anche parzialmente retribuite. Fra le questioni critiche:

(1) I liberi professionisti, in quanto lavoratori autonomi, non hanno per definizione un tempo di lavoro organizzato da un datore di lavoro, e quindi non possono beneficiare di forme di tutela legate al ‘tempo di lavoro’. Per i liberi professionisti, la ‘perdita’ in termini di mancati redditi dovuta alla cura dei figli viene coperta dal canonico istituto dell’indennità di malattia, ed eventualmente da altre forme di tutela decise dai singoli Enti di Previdenza. Tuttavia, è indubbia una penalizzazione rispetto ai lavoratori dipendenti.

(2) l’indennità di malattia proporzionale al reddito, seppure con un minimo e un massimo, è una scelta che può risultare iniqua e penalizzante se si considera che la maternità è un periodo complesso per tutti i genitori, indipendentemente dal reddito. La sua commisurazione per i liberi professionisti al reddito di due anni prima, può inoltre risultare estremamente penalizzante nei casi – e non sono pochi – in cui l’avvio dell’attività genera redditi crescenti: questa fase in genere coincide anche con l’età in cui si hanno figli.

(3) In molti casi di lavoratori dipendenti con contratti a termine o a tempo determinato – i primi mesi della gravidanza possono coincidere con la conclusione di un rapporto di lavoro, portando alla paradossale condizione di aver difficoltà a rinnovare un contratto o trovarne uno nuovo, e di perdere contestualmente ogni diritto all’indennità di maternità in quanto ‘non più lavoratrici’.

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