
Tassazione delle rendite: la pagliacciata.
Alla fine sarà una burla, la riduzione della tassazione sulle rendite finanziarie degli Enti di Previdenza di primo pilastro: dal 26% al 20%. Ma con un meccanismo talmente poco conveniente da annullare qualunque effetto positivo.
La questione è questa: il rendimento finanziario delle casse di previdenza è il guadagno che si consegue attraverso l’investimento dei contributi versati dagli iscritti per creare la propria pensione. Se è tassato meno, restano in cassa più soldi per l’uso interno alla categoria o per aumentare le riserve.
Con la sentenza del Consiglio di Stato DI CUI HO PARLATO QUI, ora c’è anche la prospettiva concreta di poter usare questi rendimenti per distribuirli ai montanti degli iscritti, e quindi incrementare direttamente l’ammontare della pensione a fine carriera.
E proprio mentre tutto questo movimento è in fase di realizzazione e si è aperta una breccia di cui molti enti di previdenza approfitteranno, dall’altra parte lo Stato drena liquidità in silenzio attraverso un provvedimento che ha avuto una lunga gestazione, con trattative a non finire e grandi promesse dalla politica.
Promesse vuote: non uno dei politici che orbitano attorno agli enti di previdenza è riuscito a influire con il proprio potere sull’evoluzione di una norma che produrrà effetti negativi su professionisti e pensionati.
Ed è una magra consolazione, ma dei vari personaggi che nei mesi passati hanno millantato di essere paladini delle casse, permettendosi in questo modo sgridate pubbliche agli amministratori come farebbe un piccolo professorino idiota in una scuola di campagna – senza peraltro conoscere i fondamentali della previdenza – oggi hanno perso ogni traccia di rispettabilità. Il re è nudo.
Ecco dunque l’uovo di colombo che è stato inventato per fingere di non alzare la tassazione:
- La tassazione passa dal 20% al 26%
- Chi vorrà, potrà beneficiare di un credito d’imposta sul 6% di aumento, ma dovrà investire in asset indicati dallo Stato. Attenzione: non asset class, ma veri e propri asset, probabilmente fondi dedicati creati ad hoc e simili. E questo alla faccia di qualunque minimo criterio di decisione di investimento sulla base di criteri di autonomia-rischio-rendimento-diversificazione.
- Infine, beffa nella beffa, per il credito d’imposta saranno disponibili soltanto 80 milioni di euro da dividere fra casse di previdenza e fondi pensione complementari, che è più o meno quello che questi soggetti spendono in un anno per comprare le bottigliette di acqua frizzante per gli impiegati. Parliamo infatti di una cifra insignificante per un mercato con un patrimonio totale che si misura in decine di miliardi di euro.
Siamo forse l’unico paese europeo ad accanirsi sulla previdenza in un modo del tutto folle, sconclusionato, ignorante e incurante del fatto che a rimetterci sono milioni di cittadini giovani, che non hanno la possibilità di far lievitare il proprio risparmi obbligatorio e nemmeno sono messi nella condizione di accorgersene.