Enti previdenziali e immobili: relazioni pericolose
Il nuovo regolamento sui fondi pensione contiene importanti vincoli per l’investimento in immobili e fondi immobiliari. Il mito del mattone sicuro è ormai crollato. Per le casse professionisti, farcite di scandali immobiliari, potrebbe essere un modello da seguire.
[Fonti: ABC Risparmio, Eticanews]
Fondi pensione e investimento immobiliare: relazioni pericolose.
Il Governo si prepara ad alzare il velo sulla pericolosa liaison tra pensioni e mattone. In uno Schema di Regolamento, per il quale si è appena conclusa (29 giugno) la fase di consultazione, il ministero dell’Economia e quello del Lavoro hanno predisposto una sorta di stretta ai comportamenti dei fondi previdenziali.
La stretta si traduce nell’imposizione di limiti agli investimenti poco trasparenti, per favorire viceversa l’impiego in asset quotati (e così dare magari anche una mano alle Borse), e in un adeguamento delle misure tese a prevenire, monitorare ed eliminare i conflitti di interesse. Nella fase di consultazione, è emerso che i problemi più immediati che il Regolamento è destinato a portare alla luce riguardano l’esposizione degli enti di previdenza verso i fondi immobiliari. I valori sono ben oltre la soglia di guardia, soprattutto nella prospettiva dell’esplosione di una bolla del mattone.
Lo Schema in discussione è quello di attuazione dell’articolo 6, comma 5-bis, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (norme sui criteri e i limiti di investimento delle risorse dei fondi pensione e sulle regole in materia di conflitti di interesse). Il provvedimento rende obbligatori alcuni limiti piuttosto stringenti, cercando di introdurre una tutela alle pensioni (ci saranno 18 mesi di tempo per adeguarsi dal momento dell’entrata in vigore del Regolamento). Innanzi tutto, si indica al 30% del patrimonio la soglia massima di asset non quotati in cui il gestore del fondo previdenziale può investire. Quindi «i fondi pensione – si legge – non investono più del 5% del patrimonio in strumenti finanziari emessi da uno stesso soggetto e non più del 10% del patrimonio in strumenti finanziari emessi da soggetti appartenenti a un unico gruppo». C’è anche un limite di peso nel soggetto partecipato: l’ente previdenziale non può superare il 25% del fondo chiuso o alternativo in cui investe.
Una situazione assai differente da quella attuale nel comparto del mattone. Secondo le osservazioni inviate in fase di consultazione dall’Istituto Italiano di Valutazione Immobiliare (Isvi), il connubio tra mancati controlli e assenza di responsabilità da parte degli esperti indipendenti nel comparto del mattone, ha portato la situazione dei fondi chiusi immobiliari a essere ben lontana dai requisiti di trasparenza e consapevolezza del rischio che si vuole introdurre per i fondi pensione. Per giunta, la commistione rischia di essere deflagrante: le ultime cifre a disposizione, ricorda Isvi, indicano che «la quota del patrimonio netto dei fondi sottoscritta dagli enti previdenziali, sia pubblici sia privati, rappresentava il 22 per cento del patrimonio dei fondi immobiliari». E che spesso (nel 40% dei casi) quando un ente pensionistico investe in una sgr del real estate, di fatto ne è anche l’unico proprietario.
Il mito del mattone è crollato da un pezzo! in Italia resiste come investimento istituzionale grazie al fenomeno della “cresta”, termine scientifico per indicare quando due o più faccendieri si mettono d’accordo fra loro per spartirsi il surplus di una compravendita immobiliare a prezzo gonfiato, riversando su un terzo, di solito lo Stato o i risparmiatori, l’onere della perdita.