Il Monopolio delle casse obbligatorie dei professionisti

Un lettore mi ha scritto che l’obbligo di contribuzione alle casse dei liberi professionisti le mette in condizione di monopolio, creando le condizioni per un funzionamento al di sotto dei livelli che ci si aspetterebbe in condizioni di concorrenza. E mi chiede cosa ne penso.

Devo dire che lo stimolo è paradossale, provocatorio, ma intrigante. Non è la prima volta che i colleghi professionisti, iscritti in casse di previdenza delle professioni più diverse, mi scrivono ponendomi questo tema. Tutti sono accomunati dall’obbligo di investire parte dei loro risparmi in un Ente previdenziale che non hanno scelto, e per tutti la faccenda risulta strana, specialmente in un momento storico in cui si chiede ai professionisti di allentare le barriere e le regolazioni del mercato, per favorire la concorrenza.

L’argomentazione apparentemente non fa una grinza: perché creare un sistema di casse obbligatorie ed esclusive, che assorbono almeno un 10%+2% del reddito di un professionista, quando si potrebbe liberare il mercato della previdenza e lasciare ai singoli il beneficio di scegliere il gestore dei propri risparmi, a parità di obbligo del versamento?

Io non so dire se sia meglio una previdenza a mercato libero, piuttosto che una controllata dallo Stato. Ma posso provare a fare una distinzione fondamentale quanto poco conosciuta, e tracciare una sintesi del processo storico e politico che in Italia ha portato alla situazione attuale.

>> LA PREVIDENZA E’ UN PIATTO DI SPAGHETTI.

Questo è un concetto fondamentale: non esiste una sola previdenza, ma una previdenza tripla. La chiamano previdenza di primo, secondo e terzo pilastro.

Il primo pilastro è il piatto con la pasta, ancora in bianco. Si tratta della previdenza obbligatoria statale, che esiste in quasi tutti i paesi del mondo, gestita da enti statali o parastatali. Non c’è scopo di lucro, e l’obiettivo è di garantire il minimo vitale a tutti i cittadini, e di non gravare la collettività con spese impreviste. Le casse obbligatorie dei professionisti rientrano in questa categoria. Il prezzo per il singolo è popolare, per via degli sgravi fiscali molto vantaggiosi, e il nutrimento dovrebbe essere sostanzioso.

Il secondo pilastro è il sugo di pomodoro, distribuito a tutti quelli che vanno a mangiare in una particolare mensa per lavoratori. Si tratta delle forme di previdenza collettive per categorie di lavoratori, integrative a quella statale, che servono ad arricchire il piatto della propria rendita oltre il minimo della sussistenza. Il prezzo per il singolo sarebbe alto, ma l’acquisto in forma collettiva e gli sgravi fiscali le rendono comunque convenienti. Il fatto che l’acquisto sia collettivo garantisce anche che si possa avere prodotti di qualità e in qualche modo tagliati su misura per il gruppo di acquisto.

Il terzo pilastro è il condimento extra, è a pagamento e ognuno se lo sceglie a piacere: chi ci mette il parmigiano, chi l’olio piccante, chi le acciughe, i capperi o le olive. Qualcuno, più convinto degli altri da un negoziante approfittatore, grattuggia orgoglioso il suo falso tartufo. Si tratta di tutte le forme previdenziali e assicurative in vendita sul mercato, spesso con una promozione aggressiva e spese elevate e nascoste. Chi le vende si guarda bene dal dire che hanno un rapporto prezzo/sostanza molto svantaggioso, e che in definitiva non ci mangi se prima non hai già un bel piatto di pasta al pomodoro.

Ecco, credo che la questione del monopòlio delle casse ora inizi a complicarsi. Perché oltre al rendimento, in ogni investimento è essenziale considerare il rischio.

Se parliamo di prodotti di secondo pilastro la concorrenza è sicuramente utile, specialmente perché chi compra è una collettività, con i suoi incaricati qualificati che sanno scegliere e tirar sul prezzo e sulle condizioni di servizio. Il rischio è moderatamente controllato dall’acquisto in forma collettiva e dalla professionalità di chi acquista.

Se parliamo di terzo pilastro, la concorrenza è utile, ma il target è il risparmiatore singolo, che non potrà mai avere le competenze professionali per scegliere il prodotto davvero migliore. E questo lo espone al rischio elevato di perdita del proprio risparmio. Ora, se mi cade sul pavimento il cucchiaino di parmigiano che ho appena pagato extra, un po’ mi scoccia ma in fondo quel giorno mangio comunque. Ma se mi cade il piatto di pasta, quel giorno resterò a digiuno.

Credo sia questo il motivo più importante per cui le casse obbligatorie dei liberi professionisti sono in monopòlio, come del resto lo è l’INPS: perché al piatto di pasta dei risparmiatori non si possono far correre i rischi che si corre con l’acquisto di prodotti sul libero mercato, per propria iniziativa personale. Il problema non è del singolo, ma dell’equilibrio generale della società.

Credo che molti ricorderanno la crisi finanziaria albanese del 1997. La gente aveva investito nelle ‘finanziarie piramidali’, strutture di gestione del risparmio che promettevano capitale garantito e rendimenti importanti – una formula che si sente spesso, vero? – e quando il sistema arrivò al crash finanziario, la gente si trovò senza risparmi e senza pensioni. E il paese intero, con la sua giovane democrazia nascente, andò al tracollo economico.

Questa lezione che viene dalla storia recente ci dovrebbe insegnare che non sempre il libero mercato è una buona idea, specialmente in settori in cui la dimensione individuale è solo una parte del problema: noi non versiamo all’ENPAP o all’INPS soltanto per la nostra sicurezza futura, ma perché molte sicurezze individuali messe una vicina all’altra creano una sicurezza collettiva per il paese.

Ovviamente, gli enti che gestiscono la previdenza di primo e di secondo pilastro – gli spaghetti e il loro sugo – devono essere ben governate. Questo è un diritto dei cittadini, una pretesa dello Stato, e in fondo per i professionisti è anche un grado di libertà in più, perché noi possiamo scegliere chi tiene al sicuro il nostro piatto di pasta.